Le Carbonere

di Klara Buri-Matijai

Notte. I grilli cantano instancabili. Il cielo e' adorno di migliaia di vibranti puntini dorati. Avverto nell'aria odore di fumo. E'un'esalazione a momenti intensa, a momenti piu' debole. Il silenzio e' interrotto dal latrato dei cani, tanto piu' forte quanto piu' nera si fa la notte. Anche l'ultima luce nelle case di Prodol e' stata spenta. Ci raggiunge il rumore dell'automobile di un tardivo viaggiatore che sfreccia nel vicino bivio. Avvolgiamo le gambe in un leggero plaid perche la notte e' fresca, nonostante che, tra qualche giorno, il sole nel solstizio segnera' l'inizio dell'estate.

Sto seduta su una sdraio accanto alla signora Gina Zenzerovi-Biskupova, assieme facciamo la guardia alla carbonaia che e' stata accesa qualche giorno fa. Tra risa di bambini e moccoli di uomini la legna era stata disposa in cerchio, in una buca non troppo profonda, tutt'attorno. I ceppi piu' grossi erano stati messi in mezzo, uno accanto all'altro, seguiti, secondo uno schema conico, da quelli piu' sottili. La legna era stata ricoperta di erba, fieno e quest'ultimo di terra. "La meo roba xe meter la tera brusada de i altri ani". Infine il tutto era stato ben bene bagnato con l'acqua perche' la terra deve essere sempre umida.

L'avevano accesa dall'alto e, quando la carbonizzazione si era iniziata, l'apertura era stata otturata con altra legna, paglia e terra. Con un sottile bastone appuntito erano stati praticati dei buchi in giro affinche' il fumo potesse uscire. E stanotte siamo qui, e lo saremo anche quelle seguenti, a badare al fumo azzurrognolo il quale indica che si sta creando "el buso" e che percio' la legna ha incominciato ad ardere. "El buso" e' l'unico guaio che possa accadere dentro o attorno alla carbonera. E' l'unico grande pericolo "perche' in do e do quatro se pol brusar un mucio de legni e invesse del carbon ti ingrumi sachi pieni de polvere". Nel vuoto in cui si sia formato un buco bisogna aggiungere altre legna, erba, e ancora terra e, come all'inizio, bagnare tutto con l'acqua. L'acqua e' sempre a portata di mano, come il bastone, del resto, che serve ad aprire le vie di uscita al fumo, sempre piu' in basso verso la base della carbonaia. Man mano che passano i giorni questa infatti si abbassa e, dopo l'ottavo, sotto gli strati terrosi, il carbone e' pronto. Naturalmente il periodo di carbonizzazione dipende in larga misura dalla qualita' e quantita' della legna impiegata. "Un'estate la Fuma e Jakov ghe ne ga fata una con deboto trenta metri de legni. Una volta vegniva a zornada i contadini de Marsana e le carbonere se impissava in tela corte de Duan. La nostra famiglia fasseva la carbonera in compagnia dei vicini, la Gilda e Toni Markolovi, e alora el travaio iera piu' fasile, perche un poco stavimo 'tenti noi e un poco lori".

Il carbone deve raffreddarsi per uno o due giorni, ed anche allora bisogna far attenzione perche' la fianuna puo' facilmente divampare da qualche brace. Con la stessa pala con cui era stata messa sulla carbonaia la terra ne viene anche tolta. "Quando che finalmente el carbon vien messo in tei sachi de carta, un povero cristian el xe piu' nero dela piu' nera dele cotole".

Durante l'Italia i sacchi erano di juta e venivano portati a Pola con i carri per essere venduti. Il carbone di legna era merce richiesta per i ferri da stiro, perche non c'era casa, ricca o povera che fosse, che non avesse il suo "sopresso". Ma anche oggi quel carbone e' molto apprezzato: "no' xe meo pesse ne carne de quela rostida sul carbon".

Tutto e' silenzio. Grazie ai racconti sulle carbonaie, sulla giovinezza trascorsa in Italia, sulla vita delle donne in campagna, la notte e' trascorsa molto piu' velocemente di quanto pensassi. Tra poco albeggera'. Si avverte un fruscio. Sono gli uccellini che annunciano il nuovo giorno. Rimango sola, mentre la fragranza del caffe bollente, che si diffonde dalla casa della gentile ospite, sovrasta il fumo della carbonaia.

Siamo diretti verso la Ciceria perche', raccontano, anche l un tempo si accendevano le carbonere. Al di sopra della fertile e movimentata Piana di Rozzo, si elevano a gradoni le fasce del paesaggio carsico estendendosi in direzione est-ovest lungo la catena montuosa della Ciceria. A intermittenza vi si innestano zone imboschite e zone tipicamente carsiche, un territorio ricco di doline e campi calcarei. Il rumore della nostra automobile ha distolto l'attenzione di quei sette abitanti di Brgudac (Bergudaz) che sono rimasti. Il villaggio e' rannicchiato contro le pietre, attorno all'ubertosa dolina, e sovrastato dalla chiesa di S. Biagio dove con il battesimo si iniziava la vita di ogni nativo. Li' anche terminava il suo viaggio, al riparo della montagna, all'ombra dei pini che lo avrebbe per sempre protetto dalla bora gelida, ma anche dal solleone estivo. Solo le croci lignee rimangono oggi a memoria della vita amara e difficile degli Ivanci, Kalci, Klobas.

Bussiamo alla porta di Slavko e Veronica Sankovi che ci accolgono e ospitano con quel calore istriano che non ha pari. La tavola imbandita testimonia della generosita' cordiale di quella gente modesta. "La vita iera dura. La gente le ga passade de tuti i colori": e' il ritornello scandito dalle bocche degli ospiti. Le bestie e il carbone rappresentavano un tempo l'unica fonte di sussistenza e di mera sopravvivenza per le famiglie numerose. Ne I'elettrificazione del 1948 ne la strada asfaltata del 1977 riuscirono a trattenere presso il focolare domestico i figli e le figlie. Da bambini avevano fatto indigestione di "fame" e di "disperazione", e una volta terminata la scuola approfittarono, della prima occasione per andarsene, alla ricerca di una vita migliore, lontano dall'avara Ciceria.

I pesanti ceppi che da giovani avevano portato in spalla sono stati sostituiti dal peso degli anni. Le ultime carbonere furono accese negli anni settanta, su in alto nei boschi del Planik (Alpe grande), nelle foreste di Rujica, di Punta upanj, di Punta Brajko, nella Cava. La famiglia Sankovi aveva, e le possiede ancora, rigogliose faggete i cui ceppi sono i migliori per fare il carbone. Durante i freddi mesi invernali, e sempre che l'altezza della neve lo consentisse, la legna veniva ammucchiata nelle vicinanze del posto dove in primavera si sarebbero accatastate e accese le carbonere. Sotto il tenace incalzare della sega e dei colpi ritmici della scure i faggi secolari si accasciavano. "Che ne iera de lavoro de far con i legni: bisognava segar, tranciar, tajar , portar piu' vicin e spacar. Se spacava con la mazza de carpine e con la vanga". La preparazione della legna durava tutto l'inverno e all'inizio della primavera, quando le giornate si allungavano e il sole richiamava sui pendii i primi fiorellini, era tempo di accatastare le carbonaie. Con l'aiuto dei bambini piu' grandicelli, dei vicini o di aiutanti a giornata le carbonaie venivano apprestate in un giorno su una superficie dritta e solida. I ceppi venivano disposti in cerchio, verticalmente l'uno accanto all'altro, in modo che in mezzo rimanesse il minore spazio possibile. Il diametro della carbonera dipendeva dalla quantita' di legna tagliata e poteva arrivare anche a dieci metri. In altezza non si andava oltre due file di ceppi segati, in modo che ognuno fosse lungo un po' pi di un metro. Al centro veniva disposta legna piu' sottile, che bruciava prima. La legna veniva ricoperta di foglie umide e queste con terra pulita e setacciata affinche' legasse meglio i ceppi. Per ultimo si mettevano degli sterpi, in fondo veniva lasciato un pertugio: " ma no' sai grando, largo solo una quarta". La carbonaia veniva accesa nel mezzo, e quando la fiamma avvampava, il pertugio veniva chiuso. Era allora che soprattutto bisognava fare attenzione. Nei punti in cui la legna piu' sottile veniva arsa bisognava infilarne di altra. "Ocoreva che ghe fossi sempre qualchedun vicin". I primi giorni infatti la legna spesso cedeva e allora bisognava aggiungerne altra, con le foglie, la terra e cosi' via.

"El piu' posibile vicin ala carbonera vegniva fata una baraca per dormir. La iera picia, fata de legni, frasche e foje". "Ellume a petrolio" illuminava nelle tenebre del bosco i visi rugosi dei Cici. "Una volta al giorno ghe portavimo de magnar"e di solito si trattava dell'unico pasto caldo; "el lavoro e el bosco ghe verzeva l'apetito". Era cibo da contadini, semplice ma gustoso. Polenta e formaggio, patate e minestra, questa la dieta che dava vigore a quei lavoratori instancabili."La sena bisognava per forsa cusinarla la', opur se magnava qualcossa de suto, de solito pan e formagio. Se la famiglia iera granda se fasseva el pan ogni giorno". Il suo odore allettante si espandeva da tutte le case, da ogni focolare e da ogni "sparhed". In quelle case rare erano le occasioni di festa, "no' se fasseva dolci". Solo per Pasqua, o "quando che i giovani andava militar", si impastava il pan dolce.

"I carboneri se guadagna el pan. Se i disi che el pan dei marineri ga sete scorse, alora quel dei carboneri ghe ne ga setantasete".

Di solito una carbonera ardeva per dieci giorni e anche piu'. E verso la fine mandava piu' fumo. Seguiva il raffreddamento. Con la vanga si toglieva la terra e quindi con un grosso "forcal" (forcone) si raccattava il carbone. I sacchi, pesanti anche quaranta chilogrammi, dovevano venir portati via dal bosco. Gli uomini a spalla, le donne sulla schiena portavano il carbone fino al villaggio, dove "al tempo de l'Italia" li attendevano i commercianti di Dana e Vodizze. Per un periodo, dopo il 1945, il carbone veniva venduto alle cooperative di Lanischie e di Lupogliano. I Cici rifornivano di carbone tutta l'Istria, da Pola a Trieste. Gelati e infreddoliti come il piccolo Cicio del racconto di Viktor Car Emin, vendevano agli altri cio' di cui avevano piu' bisogno, il calore. E quel po' di denaro che riuscivano a intascare di solito lo spendevano gia' per strada. Ritornati a casa non rimaneva altro da fare che tornarsene in bosco. Slavko accendeva cinque-sei carbonere in un anno. "Tornavino del bosco solo per S. Piero, e per sesolar, e po' de novo indrio".

"Iera una vita dura. La gente le ga passade de tuti i colori": sono le parole che usa Veronica quando parla di quel mondo, che sente dentro di se e che e' cosi' difficile da raccontare all'ascoltatore curioso.

La difficolta' di quel lavoro e la piu' redditizia vendita di legna cacciarono nel dimenticatoio le "carbonere". Quelle carbonaie, o appunto "carbonere", "krbunice" e "krbunere", sono parte inscindibile e peculiare della vita dell'uomo istriano attraverso i secoli, e vanno percio' consegnate alla memoria.

Tratto da:

  • Klara Buri-Matijai. "Le carbonere" (fotografie di Eduard Strenja), Jurina i Franina, rivista di varia cultura istriana, N. 54/autunno 1993, p. 68-71.

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Created: Monday, January 21, 2001; Last updated: Tuesday, March 01, 2022
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