DOPO TRIESTE LA MOSTRA SARÀ A GRAZ, IN ALCUNE CITTÀ ITALIANE E POI A FIUME

Istroromeni, la singolare storia

La Voce del Popolo
14 settembre 2007

C’è un’area montuosa, nel cuore aspro dell’Istria, in cui storicamente intere famiglie, provenienti dalla Romania, si sono insediate, creando delle vere e proprie colonie. Le esatte origini di questa immigrazione non sono certe, ma dal Quattrocento per oltre un secolo si formarono due comunità che parlavano una lingua neolatina simile a quella della Dacia nella zona settentrionale e meridionale del monte Maggiore. Le motivazioni di questa diaspora dalla madre patria vanno ricercate probabilmente nella dissoluzione dell’Impero romano, nelle devastazioni delle invasioni barbariche nei Balcani, da ricordare quella dei Tartari a metà del Duecento, e nella pressione che cominciarono ad esercitare i Turchi, in particolare sull’ultima provincia romana, la Dacia appunto. I transfughi si rifugiarono in Dalmazia, dove presero il nome di Morlacchi ed Uscocchi. Ma successivamente arrivarono fino al Friuli e al Veneto. Esistono testimonianze della presenza di queste popolazioni, altrimenti soprannominate “cicci e ciribiri”, anche a Trieste e nel suo circondario. Tuttora l’istroromeno, con questo nome è nota e studiata la lingua di queste genti, è parlato a Seiane e a Valdarsa da poche centinaia di persone, la maggior parte anziane, ma ha conservato ancora abbastanza intatta la sua fisionomia di lingua neolatina. Una mostra dal titolo “ISTROROMENI (cicci e ciribiri). Una piccola cultura nella grande storia. L’Europa delle lingue e culture minoritarie” è attualmente allestita per opera dell’Associazione culturale italo-romena Decebal di Trieste nella sala comunale di Palazzo Costanzi. Circa 50 pannelli descrittivi e riproducenti stampe, fotografie, documenti, originali interessanti di carte geografiche, libri cartoline e immagini antiche e recenti dei luoghi, illustrano la storia comunque più vasta di un gruppo a noi noto per le sue attività. Una delle produzioni più conosciute degli Istroromeni era infatti quella del “carbone”. I cicci camminavano ancora fino alla metà del secolo scorso per le strade di Trieste, Fiume ed Abbazia gridando “carbuna, carbuna…” e vendevano il combustibile che producevano loro stessi costruendo le cosiddette carbonere con la legna e la terra. Ma dai documenti esposti è possibile apprendere ciò che scrive Ioan Maiorescu nel 1857. E cioè che i figli indesiderati dell’amore tra i ricchi triestini e le loro serve, abbandonati all’istituto dei trovatelli di Trieste, venivano affidati dietro un esiguo compenso, alle famiglie rumene. Ai tempi in cui Maiorescu descrisse il fatto si contavano circa 300 orfani presso le famiglie di Monte Maggiore, 70 nella sola Susnievizza e 50 a Brdo. Non solo i soldi, che annualmente venivano dati agli affidatari, contavano, anche l’esonero dal servizio militare dei figli maschi degli ospitanti era importante. Le guerre poi privavano di manodopera maschile le famiglie povere che più necessitavano di braccia giovani e forti per un lavoro duro e faticoso. Insomma una mostra interessante che aggiunge un tassello non trascurabile alla conoscenza di questo nostro piccolo mondo in cui mai niente è così fermo ed incontaminato, come spesso si suppone, ma che invece nasconde realtà e storie, che si intersecano e crescono con le storie di altri, creando quel meraviglioso crogiolo di lingue, dialetti e civiltà che animano il nostro vivere moderno.

Nelle intenzione degli allestitori la mostra dovrebbe essere prossimamente ospitata in Austria a Graz, in alcune città italiane (tra cui Roma) e poi successivamente a Fiume.

Rossana Poletti

Tratto da:

  • © La Voce del Popolo - https://www.edit.hr/lavoce/070714/cultura.htm © All rights reserved.

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Created: Sunday, October 07, 2007; Last updated: Wednesday, March 02, 2022
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