La struttura etimologica del
vocabulario della lingua romena
Vasile Frăţilă
Università di Timişoara
[Tratto da: Annuario.
Istituto Romeno di cultura e ricerca umanistica 4 (2002), edited by Şerban
Marin, Rudolf Dinu and Ion Bulei, Venice, 2002
© Şerban Marin, August 2002, Bucharest,
Romania.]
1. Un’oasi di latinità
Lingua
romanza di tipo orientale, il romeno è nato dalla lingua latina portata dai
coloni romani in Dacia e nelle province romane sud danubiane, a nord della
cosiddetta linea Jireček e ad est della „lacuna” di romanizzazione
stabilita da A. Philippide in Originea românilor, vol. I, Iaşi,
1923. La lingua romena è il risultato dell’evoluzione e delle influenze subite
dal latino dal periodo della romanizzazione della Dacia fino ad oggi.
L’evoluzione del latino portato in
Dacia e nelle province danubiane dell’Impero Romano si deve a una serie di
fattori linguistici (sostrato, superstrato, adstrato) ed extralinguistici
(condizioni geografiche, storiche, sociali, economiche, livello di civiltà e di
cultura). L’interazione dei fattori linguistici ed extralinguistici ha conferito
al romeno delle caratteristiche uniche, in quanto questi fattori furono diversi
da quelli tipici per la Romania Occidentale. Isolato dal resto della romanità
dall’insediamento degli slavi meridionali (bulgari e serbi) nella penisola
balcanica e degli ungheresi in Pannonia, rimasto fuori dal raggio di influenza
della lingua latina come lingua di cultura, il romeno ha avuto un’evoluzione
diversa rispetto a tutte le altre lingue romanze occidentali.
Il latino orientale, parlato sulle
due sponde del Danubio inferiore, si trasformò in un nuovo sistema linguistico:
il romeno. Oltre all’influsso del sostrato traco-dacico, sulla lingua romena,
dopo la sua formazione, hanno agito diverse influenze: slavo-antica, slavone,
medio-greca e neogreca, turanica e turca osmanli, ungherese, tedesca, francese
ecc. Alcuni di questi influssi riguardarono l’intero territorio su cui si è
formato il romeno, altri solo alcune parti di esso.
Il lessico della lingua è formato da due componenti: a) il vocabolario di base e
b) il resto del vocabolario. Il vocabolario di base include gli elementi che
denominano le nozioni più importanti, senza le quali la comunicazione tra i
membri di una società sarebbe impossibile. Perciò, la maggior parte di questi
elementi lessicali ha una considerevole antichità, serve per formare nuove
parole, tramite derivazione con suffissi e prefissi o tramite composizione, ed
entra a far parte di numerose espressioni idiomatiche.
La maggior parte delle voci del
vocabolario di base della lingua romena è di origine latina. Queste parole si
riferiscono a: parti del corpo umano: cap “testa” (<
caput), frunte “fronte” (< frontem),
barbă (< barba, „mento”), dinte “dente”
(< dentem), faţă “faccia” (< facia),
gură “bocca” (< gula “gola, collo”), nas
“naso” (< nasus), ureche “orecchia” (< oricla
< auricula), ochi “occhio” (< oculus),
păr “capelli” (< pilus), piele “pelle” (<
pellem), piept “petto” (< pectus),
inimă “cuore” (< anima “anima”) etc.; vita
affettiva: blând “mite, soave, dolce” (< blandus
), dor “dolore, desiderio nostalgico” (< dolus),
a plăcea “piacere” (< placeo, -ere), a plânge
“piangere” (< plango, -ere), a râde “ridere” (<
rido, -ere) a suferi “soffrire” (< suffero,
-ire), a se teme “temere, aver paura” (< timeo, -ere),
trist “triste” (< tristus); attività
intellettuale: a crede “credere” (< credo, -ere),
a cunoaşte “conoscere” (< cognosco, ‑ere), a
înţelege “intendere, comprendere” (< intelligo, -ere),
a învăţa “imparare, apprendere, insegnare” (< *invitio, -are),
minte “mente”
[266]
(< mentem); salute, malattie, morte:
sănătate “salute” (< sanitatem), sănătos
“sano” (< sanitosus), a durea “dolere” (< dolere),
a geme “gemere” (< gemo, -ere), a zăcea
“giacere” (< iaceo, -ere), tuse “tosse” (<
tussis, -em), mort “morto” (< mortuus),
viu “vivo (< vivus); difetti fisici e aspetto
esteriore: mut “muto (< mutus), orb
“cieco, orbo” (< orbus), surd “sordo” (<
surdus), şchiop “zoppo” (< *excloppus),
gras “grasso” (< grassus = crassus), frumos
“bello” (< formosus); vestiario e ornamenti:
camaşă “camicia” (< camisia), ie “camicetta
ricamata (del costume romeno)” (< [vestis] linea),
inel “anello” (< anellus), cercel
“orecchino” (< circellus), cunună “corona” (<
corona), mărgea “perlina, margheritina” (< margella);
azioni: a asculta “ascoltare” (< ascoltare =
auscultare), a auzi “udire” (< audio, -ire),
a simţi “sentire” (< sentire), a sufla
“soffiare” (< sufflo, -are), a mânca “mangiare” (<
manduco, -are), a bea “bere” (< bibo, -ere);
abitazione e oggetti di casa: casă “casa” (<
casa), masă “tavolo” (< mensa), scaun
“sedia, sedile” (< scamnum), perete “parete, muro” (<
parietem), uşă “uscio, porta” (< *ustia
pl. derivato dal singolare ustium = ostium),
fereastră “finestra (< fenestra);
termini di parentela: tată “padre” (< tata),
mamă “madre” (< mamma), părinte
“genitore” (< parentem), fiu “figlio” (< filius),
frate “fratello” (< fratem), soră
“sorella (< soror), socru “suocero” (< socrum),
nepot “nipote” (< nepotem), noră, reg.
nor (cf. noru-mea) “nuora” (< nurus),
cumnat “cognato” (< cognatus), ginere
“genero” (< generem); natura: cer “cielo”
(< coelum), lună “luna” (< luna),
stea “stella” (< stella), soare “sole” (<
solem), munte “monte” (< montem),
şes “piano, pianura” (< sessum), câmp
“campo” (< campus); suddivisioni temporali:
an “anno” (< annus), lună “mese” (< luna),
săptămână “settimana” (< septimana), zi
“giorno” (< dies), seară “sera (< sera),
noapte “notte” (< noctem), iarnă “inverno” (<
hiberna [tempora]), vară “estate” (< vera
= ver „primavera”), primăvară “primavera” (<
primavera); vegetazione: floare “fiore” (<
florem), grâu “grano (< granum),
sămânţă ‘semenza” (< sementia), fag “faggio” (<
fagus), prun “prugno (< prunus),
măr “melo’(< melum = malum), păr “pero”(<
pirus), nuc “noce” (derivato regressivo < nucă
“noce”) (< nox, nucis, nucem), pom “albero (da
frutto)” (< pomus); fauna: bou “bue” (<
bovum), taur “toro“ (< taurus),
porc “porco”(< porcus), viţel “vitello” (<
vitellus), miel “agnello” (< agnellus),
oaie “pecora” (< ovem), berbec “montone”
(< vervecem), capră “capra” (< capra),
ied “capretto” (< haedus), lup “lupo” (<
lupus), vulpe “volpe” (< vulpem),
urs “orso” (< ursus), câine “cane” (<
canem), găină “gallina” (< gallina), pui
“pollo” (< pulleus); agricoltura, pomicultura, pastorizia:
a ara “arare” (< aro, -are), a semăna “seminare”
(< semino, -are), a culege “cogliere” (<
colligo, -ere), a treiera “trebbiare” (< tribulo, -are),
a măcina “macinare” (< machino, -are), moară
“mulino” (< mola), seceră “falce” (< sicilem),
sapă “zappa” (< sappa), păşune “pascolo”
(< pastionem), turmă “branco (di pecore)” (<
turma); terminologia cristiana: creştin
“cristiano” (< cristianus), cruce “croce” (<
crucem), Dumnezeu “Dio” (< Dominedeus),
drac “diavolo” (< draco), biserică “chiesa” (<
basilica), rugăciune “preghiera” (<
rogationem), Paşti “Pasqua” (< pascha, paschae).
Oltre al fondo
comune con le altre lingue romanze viene conservata una serie di parole di
origine latina specifica solo del romeno: adăpost “riparo,
rifugio”, ricovero” (< addepositum), ager “veloce,
sagace” (< agilis), ajutor “aiuto” (<
adiutorium), a asuda “sudare” (< assudare, -are),
cântec “canto, canzone” (< canticum), flămând
“affamato” (< *flammabundus), lingură “cucchiaio” (<
lingula), ospăţ “banchetto, festino” (<
hospitium), vitreg “che non è parente consanguineo” (<
vitricus), etc.
In romeno una
serie di parole di origine latina ha conservato o ha acquisito un significato
diverso rispetto a quello delle altre lingue romanze. Così il lat.
barbatus è
[267]
diventato in romeno bărbat,
con il senso di “uomo, marito”, mentre nelle altre lingue romanze i suoi
discendenti hanno il significato di “uomo con la barba” (cf. it.
barbato, fr. barbé, prov., cat. barbat, sp., port.
barbado); il lat. anima è diventato in romeno inimă
e designa un “organo del corpo umano”, mentre i suoi derivati nelle altre lingue
romanze significano “anima” (cf. it. anima, fr. âme,
prov. cat. arma, sp. port., alma);
il lat. tenerus è diventato in romeno tânăr con il
senso di “giovane”, mentre in fr. tendre “tenero, fresco”, come in
it. tenero, prov. tenre, sp. tierno,
port. terno.
Dalle
popolazioni autoctone traco-daciche si è conservata una serie di voci il cui
numero varia da ricercatore a ricercatore. Queste parole si riferiscono
all’agricoltura e alla pastorizia le principali attività dei traci e dei daci e,
più tardi, delle popolazioni romanizzate delle province danubiane dell’impero
romano d’oriente. Altri termini si riferiscono alle forme del rilievo, alla
flora e alla fauna delle regioni di colline e montuose in cui la popolazione
romanizzata visse nel tempo delle grandi invasioni. Molte di queste parole sono
entrate a far parte del vocabolario di base, avendo una frequenza elevata e una
larga circolazione, ed essendo caratterizzate da una grande capacità di formare
derivati o di entrare come componenti in espressioni idiomatiche. Alcuni degli
elementi di origine autoctona hanno dei corrispondenti in albanese, altri sono
specifici solo del romeno. Le voci ereditate dal sostrato si riferiscono a
parti del corpo umano: buză “labbro” (cf. alb.
buzë “idem”) ceafă “nuca, cervice” (cf. alb.
qafë “idem”), grumaz “collo nuca” (cf. alb. grumas,
gurmaz “gola”), guşă “gozzo, doppio mento” (cf. alb.
gushë “idem”), burtă “pancia”, borţ “ventre
della donna incinta” (< i-e. *bher – ‘portare”, derivarto con il
suf. –to > *bhr-to, e per borţ, con il
suff. ‑tio), rânză “ventriglio, stomaco dei ruminanti”
(cf.alb. rëndës “caglio”, “abomaso”, (ted.) “Lab”, cf. presso gli
albanesi d’Italia rrënd “caglio, ventricolo dei lattanti” );
famiglia: copil “ragazzo” (cf. alb. kopil
“idem”), moş “vecchio, vegliardo, nonno, antenato, zio”, derivato
regressivo da moaşă “vecchia, nonna” (conf. alb.moshë
“età”); abitazione e oggetti di casa: argea “stanza
(costruita nella terra)” (cf. mac. άργελα, cim. άργιλλα “idem”,
trac. αργιλος “topo” alb. ragal “Hütte”, “tugurio”),
mătură “scopa” (cf. alb. netull, -a, netëll
“idem”; in entrambe le lingue il termine comune indica anche la pianta (sorgum
vulgare, sorgum saccharatum), da cui si costruiscono le scope, in it.
sorgo), vatră “focolare” (cf. alb. gheg.
vatër, tosc. vatër, vatrë “idem”);
agricoltura e pastorizia: grapă “erpice” (cf. alb.*grapë,
un plurale di *grap, grep, “canna, amo, ancora”,(ted. “Angelhaken,
Haken,Anker”), gresie “arenaria, cote ” (cf. alb. gëressë,
gresë “grattuggia”), baci “pastore, pecoraio” (cf. alb.
baç-i “pastore” e bac-i, bacë –a
“fratello maggiore, zio”), ţarc “stazzo, steccato, chiuso” (conf.
alb. thark, cark “pascolo per il bestiame”),
mazăre “pisello” (cf. alb. modhull, modhultë
“idem” ), brânză “formaggio” (conf. alb. brendza,
-t pl. “interius, viscera”), urdă “ricotta” (cf. alb.
udhos “cacio, formaggio”), zară “latte rappreso da cui
è stato tolto il burro” (cf. alb. dhallë “idem” ); forme
del terreno: baltă “pantano, palude, stagno; pozza,
pozzanghera” (cf. alb. baltë “fango, limo” “pozza, stagno”),
mal “riva, lido, margine, ripa”, “altura” (cf. alb. mal
“monte, colle”), măgură “colle, poggio, monticello, altura” (cf.
alb. magullë “colle, collina, altura, poggio”), pârău
“ruscello, rigagnolo” (cf. alb. përrua, art. përroi
“idem”); flora e fauna: brad “abete” (cf. alb.
bredh “idem”), copac, antico copaci
”albero” (cf. alb.kopac “tronco dell’albero”), mugur(e)
“gemma, boccio, bocciuolo” (cf. alb. mugull “rampollo” ),
brusture “lappa” (cf. alb.brustull “calluna vulgaris”),
barză “cicogna” (conf. alb.bardhë “bianco”),
mânz, f. mânză “puledro” (cf. alb.mës,
mëz (tosco), mâz, -i, maz, -i f. mëze
(ghego) “cavallo di due o tre anni), ţap “becco, caprone” (cf. alb.cap,
cjap presso gli albanesi italiani “becco, caprone”), viezure
“tasso” (meles meles) (conf. alb. viedhullë “idem”).
[268]
Il più forte influsso straniero che ha agito sulla lingua romena dopo la sua
formazione è stato quello slavo. Esso si è esercitato tramite due vie: per
contatto diretto tra romeni e slavi e per via colta, intellettuale, poiché lo
slavone fu adottato nei Paesi romeni per lungo tempo come lingua del culto,
dell’amministrazione e della diplomazia. Nel quadro dell’influsso slavo per via
orale possiamo individuare due strati: uno antico e penetrato nel periodo del
romeno comune, e l’altro più recente, databile ad una fase posteriore alla
separazione dei dialetti romeni. Di solito i prestiti della prima categoria si
trovano sia in aromeno che negli altri dialetti transdanubiani (meglenoromeno e
istroromeno), mentre in dacoromeno sono di diffusione generale.
Gli altri prestiti
sono geograficamente limitati: prestiti dal bulgaro in Muntenia, Oltenia,
Dobrogia e sud-est della Transilvania, dall’ucraino in Moldavia, su entrambe le
rive del Prut (Basarabia), in Maramureş, Bucovina e nel nord-est della
Transilvania, dal serbo in Banato, talvolta in Oltenia e nel sud-ovest della
Transilvania, dal russo in Bessarabia. Le influenze bulgare e macedone si sono
esercitate sull’aromeno e sul meglenoromeno, quelle serbo-croate (specialmente
croate) sull’istroromeno.
Ripartite in
sfere semantiche le parole di origine slava si riferiscono a, parti del
corpo umano: trup “corpo” (< sl. trupŭ),
obraz “guancia, faccia” (< sl. obrazŭ), gleznă
“caviglia, colo del piede” (< sl. glezna), stomac
“stomaco” (< sl. stomahŭ); termini di parentela:
babă “vecchia, nonna”(< sl. baba), nană
“zia, appellativo per una donna anziana” (cf. bulg. nana ”zia”,
scr. nana “madre, zia”), lele “zia , sorella
(appellativo contadino)” (cf. bulg. lelja “zia” scr. lelja
“zia”), nevastă “moglie, sposa” (< sl. nevěsta “sposa,
nuora”), rudă “parente, congiunto, consanguineo” (cf. bulg.
rodà (pron. rudà) “idem” ), maică “madre”
(< bulg. majka “idem” ), abitazione e oggetti di casa:
blid “scodella, piatto fondo in terracotta o legno” (< sl.
bljudŭ “idem” ), ciocan “martello” čekanŭ “idem”
), coasă “falce” (< sl. kosa “idem” ), coş
“cesta, cestino, camino, fumaiolo (< sl. koši “cestino”),
grindă “trave, travata” (< sl. gręda “idem” ), greblă
“rastrello” (cf. bulg. grebló, scr. gräblje “idem”
), lopată “pala” (< sl. lopata “idem” ),
pivniţă “cantina, cella vinaria” (< sl. pivinica “idem” ),
prag “soglia” (< sl. pragŭ “idem” ), zid
“parete, muro” (< sl. zidŭ “idem” ), flora e fauna:
hrean “cren, rafano” (cf. bulg hrean, scr.
hrën), mac “papavero” (cf. bulg. mak, scr.
mäk), răchită “vinco” (< bulg. rakita),
morcov “carota” (< bulg. morkov); bivol
“bufalo” (< bulg. bivol), cocoş “gallo” (< sl.
kokošĭ “gallina”), gâscă “oca” (< *gošika
“idem”), rac “gambero, granchio” (< bulg. rak),
ştiucă “luccio” (< bulg. štuka), veveriţă
“scoiattolo” (< bulg. veverica, scr. veverica “idem”),
agricoltura: brazdă “solco, zolla” (< ant. sl.
brazda), ogor “campo, terreno coltivato” (cf. bulg., scr.
ugar ”idem”), plug “aratro” (ant. sl. plugŭ),
snop “fastello, corone” (< ant. sl. snopŭ “fasciculus,
maniculus, ligatura”), stog “pagliaio, mucchio” (< ant. sl.
stogŭ “idem”), particolarità psichiche e fisiche:
drag “caro” (< ant. slav. dragŭ), gol
“nudo, vuoto” (< ant. slav. golŭ), lacom “ghiotto,
ingordo, goloso” (< ant.slav. lakomŭ “cupidus, avidus”),
prost “sciocco, tonto, stupido” (< ant. slav. prostŭ “semplice,
comune, solito”), slab “magro, debole” (< ant. slav. slabŭ),
ştirb “sdentato” (< bulg. štrăb), vesel
“allegro, gaio” (< ant. slav. veselŭ “idem”), .
L’influenza
slavone si è esercitata anche tramite la chiesa e l’amministrazione. Per questo
motivo i termini slavoni si riferiscono a funzioni religiose, libri
religiosi e alla gerarchia della chiesa: ceaslov “libro d’ore,
breviario usato un tempo anche come abecedario” (< časlovŭ),
danie “donazione, atto di donazione” (< danije),
parastas “requiem (nella messa di rito ortodosso), pranzo in
memoria del defunto” (< parastasŭ), utrenie “rito
mattutino” (< utrinija), vecernie “vespro” (<
večerinija), călugar “monaco, frate” (< kalugerŭ
<mgr.), diacon “diacono”(< dijakonŭ),
mitropolit “metropolita (< mitropolitŭ), popă
“pope,
[269]
prete” (< popŭ),
vlădică “vescovo” (< vladika), corte pricipesca e
ranghi nobiliari: stolnic “siniscalco, capocucina, capocuoco”
(< stolinikŭ), voevod “voivoda, principe (della
Moldavia e della Valacchia)” (< vojevoda), vornic
“governatore, ministro degli interni, giudice supremo” (< dvorinikŭ),
boier “nobile (romeno), feudatario” (< boljarinŭ, pl.
boljare), clucer “siniscalco, maggiordomo, dignitario di corte”
(< ključarĭ) ecc.
Tra i termini provenienti dalle lingue slave vicine diffusi solo
in alcune regioni ricordiamo: ciuşcă “peperone” (< čuška),
dănac “ragazzone” (solo in Oltenia) (< danak
“vitello”), letcă “rotella di incannaggio, incannatoio (del telaio
a mano)” (< letka), plută “pioppo” (< pljuto),
siv “canuto” (< siv), zemnic “cella
vinaria”(< zemnik), caratteristiche per il subdialetto munteno (dal
bulgaro); balie “mastello, bigoncio” (< balija),
coromâslă “bastone ricurvo porta secchi” (< koromyslo),
boroană “erpice” (< borona), pocriş
“coperchio della pentola” (cf. pokriška), hulub
“piccione” (< holub), toloacă “terreno arabile non
seminato”(< toloka), specifiche del subdialetto moldavo
(dall’ucraino); adet “uso, usanze” (< adet),
birt “bettola, osteria, taverna” (< birt < ted.
Wirtshaus), burghie “trapano, trivella” (< burgija),
cârceag “orcio, orciolo” (< krčag), gost
“ospite” (< gost), naocol “intorno” (<
naokolo), somot “velluto” (< somot),
şumar “boscaiolo” (< šumar), uică “zio da parte
della madre”(< ujka, ujko), uină “zia (sposa del
fratello del padre, sposa del fratello della madre)” (< ujna),
diffusi nella parte sud occidentale del paese, in Banato (di origine
serbo-croata).
Popolo di
origine ugro-finnica, gli
[270]
ungheresi, inglobati tra le ondate dei popoli
migratori, partirono alla fine del IX secolo (nell’895) dal
sud dei monti Urali e, passando per i Carpazi, si stabilirono nella pianura
pannonica. Nei secoli successivi gli ungheresi penetrarono con la forza in
Transilvania affrontando la resistenza della popolazione locale romena condotta
da vari capi (voievozi), tra cui ricordiamo Gelu – dux
romanorum.
La convivenza
secolare tra ungheresi e romeni in Transilvania ha determinato un’influenza
reciproca tra queste due lingue. L’influenza del magiaro sul romeno si è
limitata al lessico. Nell’ambito dei prestiti magiari si distinguono due
categorie di voci: quelle a diffusione generale in dacoromeno, e quelle la cui
diffusione riguarda la Transilvania e il Banato. Alcuni
termini di origine ungherese sono entrati per via orale, come risultato del
contatto diretto tra le due popolazioni, altri sono entrati in romeno per via
colta, essendosi imposti tramite l’amministrazione durata fino al 1918. I
prestiti dall’ungherese possono essere classificati in vari settori, tra cui la
vita urbana: birău “sindaco” (< biró),
dijmă “decima” (< dezsma), hotar
“frontiera, confine, limite, margine” (< hatar), oraş
“città” (< város), sălaş “riparo, rifugio” (<
szállás), vita di corte: aprod “usciere, paggio”
(< apród ), herţeg “duca, principe”(< hérceg),
nemeş ”nobile di basso rango” (< nemes), uric
”documento, atto di propietá ” (< örök), commercio e
industria: a cheltui “spendere” (< költeni),
ducat “ducato (moneta)” (< dukát < it.), majă
“unità di misura equivalente a 50 o 100 kg., bilancia (per grandi pesi)” (<
mázsa), marfă “merce” (< marha),
meşter “mastro” (< mester), vamă “dogana”(<
vam).
Alla diffusione dei termini di origine ungherese sull’intero territorio
dacoromeno hanno contribuito le relazioni socioeconomiche tra la Transilvania e
le altre province romene, oltre che lo stanziamento di popolazioni transilvane
in Oltenia, Muntenia, Dobrogia e Modavia.
Qualche termine
di origine ungherese è entrato nel vocabolario di base: a bănui
“sospettare, presupporre” (< banni), chin “pena,
supplizio”(< kin), chip “volto, viso, imagine” (<
kép), fel “specie , natura, modo, maniera”(<
féle), gând “pensiero, preoccupazione”(< gond),
hotar “frontiera, confine, limite, margine” (< hatar),
îngădui “permettere, tollerare” (< engedni),
oraş “città” (< város) ecc. La maggioranza dei prestiti
[270]
ungheresi, però, ha un carattere regionale,
e riguarda solo le parlate romene della Transilvania e talvolta del Banato:
făgădău “osteria” (< fogadó), lepedeu
“lenzuolo” (< lepedö), chefe “setolino, spazzola”(< kefe),
bolând “pazzo, matto” (< bolond), beteag
“malato” (< beteg), sabău “sarto” (< szabó),
şogor “cognato” (< sógor) etc.
Visto che nei
dialetti sud danubiani non incontriamo nessuna parola di origine ungherese ciò
signica che l’influenza magiara si è esercitata sul dacoromeno dopo la
separazione del romeno comune.
2.
Oriente e Occidente sotto lo stesso cielo
Legati ai
Carpazi, come i loro avi daci, i romeni nord danubiani non hanno lasciato mai la
loro terra antica, delimitata dalle acque del mare, del Danubio, della Tisa e
del Nistro. Ma le loro montagne imponenti, coperte da foreste secolari, montagne
che celavano dentro le loro viscere miniere d’oro e sale, i loro colli dolci
pieni di estesi vigneti e ricchi frutteti, i loro campi fertili, con
grano accarezzato dal vento, sono stati ambiti da tanti altri.
E se è vero che
tutte le vie portano a Roma e arrivano da Roma, è ugualmente vero che molte di
queste passavano proprio nel cuore dell’antica Dacia. E sempre da queste parti
passavano le vie verso la Grecia e quelle che avevano come punto di partenza e
di arrivo Bisanzio (Constantinopoli), la capitale
dell’Impero Orientale, e poi la Ţarigrad dei temuti sultani.
Un certa parte del vocabolario
romeno è costituita dai termini di origine greca. Essi sono entrati nel corso di
diversi secoli e sono suddivisibili in tre categorie: 1. quelli dovuti
all’influenza del greco antico sul latino popolare che sta alla base del romeno
(I-V sec. D.C.) 2. quelli medio-ellenici, entrati per via diretta, o mediati
dallo slavo (VI-XV sec.) e 3. i prestiti neogreci (a partire
dal XVI sec. ed entrati soprattutto nell’epoca fanariota).
I primi
elementi greci conservati nel romeno sono di fatto dei prestiti penetrati in
latino per via colta, quindi, dal punto di vista etimologico devono essere
considerati elementi ereditati dal latino. Questi denominano nozioni
cristiane: biserică “chiesa” (< basilica),
boteza “battezzare” (< baptizare), preot,
“prete” (<presbyter), creştin “cristiano” (<
cristianus), paşti “pasqua (< pasqua, ‑ae), o
nozioni laiche: măcina “macinare” (<
macchinare), papură (< papyrus, *papula),
teacă, “fodero, guaina, bacello” (< theca), zeamă
“brodo, succo” (< zema). Molte voci sono comuni a tutte le lingue
romanze. Alcuni termini sono penetrati solo nel latino orientale delle province
danubiane, per contatto diretto con i greci. Tali voci vengono conservate dal
romeno: broatec “raganella” (< βρότακος), mic
”piccolo”(< μίκκος), plai “sentiero montano” (<
πλάγιος), spân ”glabro, sbarbato” (< σπάνος)
proaspăt “fresco” (< πρόσπατος).
I prestiti
bizantini sono penetrati, sia direttamente, sia, nella maggior parte dei casi,
indirettamente tramite mediazione slava. A questa categoria appartengono voci
come: drum ”cammino, strada” (< ant.sl. drumŭ < gr.
δρόμος), colibă ”casupola, capanna” (< ant. sl. koliba
< gr. kαλύβα), desagă
“bisaccia” (< gr. δισάκιον), humă
“argilla” (< ant.sl. huma < gr. xώμα),
acatist “inno alla vergine lauda, preghiera” (<ant. sl. Akatist
<gr. άκατιστος), călugăr “monaco” (ant. sl.
kalugerŭ < gr. kαλόγερος), colivă “torta
di grano con noci e zucchero per il rituale funebre ortodosso” (< ant. sl.
kolivo < gr. kόλυβα), potir “calice” (<
ant. sl. potirĭ < gr. ποτήριομ),
arvună “caparra, acconto” (< gr. Αρραβών, acc.
Αρραβόνα), cort “tenda” (< gr. kόρτη), folos
“vantaggio, profitto” (< gr. φελός), flamură
“bandiera” (< gr. φλάμουρoυ), mătase ”seta”(< gr.
ματάξα).
I prestiti
provenienti dall’ultimo strato bizantino, tra il XIII e il XV secolo, mediati
dallo slavo, si riferiscono sia alla organizzazione ecclesiastica (arhierarh
“arcigerarca”,
[271]
arhimandrit
“archimandrita, superiore di un monastero di diritto greco ortodosso”,
egumen “abate”, sihastru “eremita”, sia alla vita
politica, sociale e culturale: catarg “albero di una nave”,
cămară “dispensa, ripostiglio”, catastif
“registro”, despot “despota”, diac “copista”,
logofăt “cancelliere, dignitario”, hrisov “documento
ufficiale”.
A differenza
dei prestiti bizantini, i prestiti neogreci sono passati in
romeno in modo diretto tramite monaci, intellettuali e commercianti greci
stabilitisi nei territori romeni, soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli.
Il periodo di massima influenza neogreca sulla lingua romena è situabile tra il
1711 e il 1821, nel periodo fanariota, quando la lingua greca diventò lingua
ufficiale delle corti. I termini di origine neogreca si riferiscono all’organizzazione
statale (politie “stato”, schiptru “scettro”,
tiran “tiranno”), alla famiglia (babac
“babbo, padre”, ţaţă “zia”, matracucă “amante”), ai
divertimenti (comedie “commedia”, cartofil
“cartofilo”, sindrofie “festa in casa, ricevimento in famiglia”),
alla vita intellettuale: (dascăl “maestro,
istruttore”, agramat “ignorante”, silabisi
“sillabare”), alla medicina (cangrenă “cancrena”,
istericale “eccesso di isterismo”, lăhuză “puerperal,
partoriente”, mamoş “ginecologo, ostetrico”, nevricale
“nervoso”, tifos “tifo”), al commercio e mestieri, (magherniţă
“stamberga, catapecchia”, a chindisi “ricamare”, portocală
“arancia”, stambă “cotonato”), alla vita religiosa (aghiazmă
“acqua santa“, amvon “pulpito, ambone”, anatemă
“anatema, scomunica”, pronie “divinità, provvidenza, Dio”).
L’influenza neogreca ha avuto un carattere ufficiale e colto, limitando la sua
azione alla corte signorile, ai funzionari amministrativi, agli uomini d’affari,
alle scuole principesche e all’alto clero.
Un altro
influsso straniero sulla lingua romena è quello turco. Anche in questo caso
possiamo individuare due strati: uno dovuto alle popolazioni di origine
turco-tatara conosciuto con il nome di influenza turanica, e l’altro da parte
delle popolazioni turche osmanli. Le prime popolazioni turaniche (i peceneghi e
i cumani) si stabilirono nelle regioni carpato-danubiane nei secoli IX-X-XI. A
queste sono attribuiti tra l’altro i seguenti termini: aslam
“usura”, baltag “ascia, mazza”, capcană “trappola”,
cazan “caldaia”, cioban “pecoraio”, duşman
“nemico”, toi “apice, momento culminante”, a se tolăni
“sdraiarsi, adagiarsi”, chindie “tramonto, crepuscolo, vespro”,
buzdugan “clava, mazza ferrata”, maidan “terreno
abbandonato”, suman “gabbana, pastrano rustico lungo
fino alle ginocchia”, tărâm “terra, territorio, paese”.
L’influsso
turco osmanli ricopre un periodo di tempo più lungo (dalla fine del XV sec. fino
alla prima metà del XIX). In tale arco di tempo si distinguono due fasi: la
prima tra il XV e il XVII secolo, e la seconda durante la dominazione dei
fanarioti. Le parole appartenenti alla prima fase sono molto diffuse e si
riscontrano anche nel lessico di base romeno. Mentre quelle della seconda fase
sono uscite dall’uso, o, se si sono conservate hanno assunto una connotazione
peggiorativa o ironica. Dividendoli in vari settori, i termini turchi si
riferiscono a casa e abitazione (acaret “dipendenza,
annesso”, balama “cerniera di una porta, cardini”, cearşaf
“lenzuolo”, cerdac ”veranda”, chibrit
“fiammifero”, divan “divano”, duşumea “pavimento di
legno”, hambar “granaio”, iatac “alcova”,
odaie “stanza”, tavan “soffitto”), cibi e bevande
(baclava “sfogliata”, cafea “caffé”, caimac
“crema, schiuma del caffé“, caşcaval “caciocavallo”,
ciorba “brodo”, iaurt “yogurt”, magiun
“marmellata”, rachiu “acquavite”, tutun “tabacco”),
flora e fauna (dovleac “zucca”, dud
“gelso”, salcâm “acacia”, zambilă
“giacinto”, bursuc “tasso”, catâr “mulo”),
commercio (chilipir “affare”, cântar “bilancia”,
dugheană “botteguccia”, muşteriu “avventore, cliente”,
tarabă “bancarella”, tejghea “banco di vendita”),
mestieri ed attrezzi (băcan “droghiere”,
boiangiu “tintore”, calup “stampo”, casap
“macellaio”, cazangiu
[272]
“calderaio”,
cazma “vanga”),
indole (ageamiu “ignorante”, babalâc
“vecchiardo”, fudul “altero”, lichea “mascalzone”,
peltic “bisciolo”, şiret “scaltro, furbo”,
tembel “idiota”, urzus “scontroso”, zevzec
“stupido”). La maggior parte dei termini elencati è diffusa in tutto il
territorio romeno, perfino in Transilvania e Banato, dove è dovuta ai legami
permanenti tra tutte le regioni romene.
Sebbene non si
possa escludere a priori un’influenza diretta, in Banato i turcismi sono
penetrati tramite il serbo-croato. In realtà questi sono dei prestiti dal
serbo-croato e non dal turco, fatto spiegabile anche per mezzo di alcuni indizi
fonetici, accentuali e grammaticali: cf. ban. cafă, sarmă, arghelă,
căfană, lulă, burghie, răchie etc, rispetto ai munteni e moldavi:
cafea, sarma, herghelie, cafenea, lulea, burghiu, rachiu, (=caffé,
involtino, mandria, caffetteria, pipa, trapano, acquavite) o sementici: ban.
divan “consiglio” (< scr. divan “idem”), dever
“cavaliere d’onore alle nozze” (< scr. (ručni) dever
“idem”).
Di solito ai
turcismi moldavi e munteni, in Transilvania (e qualche volta in Banato)
corrispondono degli elementi ungheresi (catifea / barşon “velluto”,
cearşaf / lepedeu “lenzuolo”, tutun / duhan “tabacco”)
o tedeschi (ciorap / strimf “calza“, saltea / strujac
“materasso”).
Sulla lingua
romena ha agito anche un’influenza germanico-tedesca. Il numero degli elementi
germanico-tedeschi è minore rispetto a quello degli elementi slavi, ungheresi,
greci o turchi. L’influenza germanico-tedesca sulla lingua romena avviene in due
periodi. Il periodo più antico risale ai contatti con i popoli germanici
migratori, che si stabilirono temporaneamente in Dacia, per passare poi a sud
del Danubio, ed infine per partire verso l’Europa occidentale. In Dacia alcune
popolazioni germaniche (marcomanni, gepidi, goti, vandali) rimasero circa tre
secoli, dal 275 fino alla scomparsa dello stato gepide nel 566. Le ricerche più
recenti ammettono la probabile origine germanica di alcune parole:
bâlcă “orcio”, bulz “grumo”, ciuf “ciuffo”,
nasture “bottone”, rapăn “rogna, scabbia”,
targă “barella”, zgudui “scuotere”. Il numero non significativo
degli elementi germanici nella lingua romena è spiegabile tramite il contatto
effimero tra le popolazioni germaniche e i locali. Il numero dei germani rimasti
nella zona del basso Danubio dopo la partenza delle tribù germaniche verso
occidente (goti, gepidi, longobardi, vandali) fu molto ridotto, perciò durante
il processo di assimilazione da parte degli autoctoni non vennero trasmesse
molte voci germaniche, come invece avvenne in Italia, Spagna o Francia, dove
l’influsso germanico ha lo stesso peso di quello slavo in romeno.
La seconda fase
dell’influsso tedesco iniziò nel Medioevo, in seguito alla creazione di colonie
sassone in Transilvania, sveve in Banato e in Bucovina, dopo l’annessione
all’impero asburgico. I sassoni furono chiamati in Transilvania a partire dal
XIII sec., -approssimativamente nello stesso periodo dei secui e dei cavalieri
teutonici-, nelle regioni di frontiera allo scopo di difendere il regno feudale
magiaro. Si stabilirono intorno a Sibiu, Braşov e Bistriţa, poi lungo il corso
delle Târnave. La maggior parte di loro veniva dalla regione del Reno e della
Mosella, dal Lussemburgo, dalle Fiandre. Solo successivamente furono chiamati i
tedeschi della Sassonia, fatto che ha portato, più tardi, alla generalizzazione
del nome sassoni per tutti i tedeschi di Transilvania. Di origine sassone sono
le parole: joagăr “sega”, roabă “carriola”,
şold “fianco”, şură “rimessa”, şopron “rimessa”,
ţandură “scheggia”, a căptuşi “foderare”, jeţ
“poltrona, seggio”, troc “baratto, scambio”, şanţ
“fossa”, ţiglă “tegola”, struţ “mazzo di fiori”,
strujac “materasso”.
Nel XVIII
secolo, soprattutto nel periodo di Maria Teresa, si stabilirono in Banato le
prime colonie di svevi. La maggioranza dei tedeschi stabiliti in Banato
proveniva dall’Alsazia e dalla Lorena. Il nome di Svevi, dunque, è improprio, in
quanto solo pochi tra
[273]
essi erano originari dalla Svevia. Tra i
termini di origine tedesca conosciuti in Banato ricordiamo: braun
“(color) caffè”, frustiuc “colazione”, floaştăr
“marciapiede” credenţ “pancone”, şnaider “sarto”,
tişlăr “falegname”, ră(i)pelţ “fiammifero”,
farbă “vernice”, flaşă “vetro”.
Il lessico
romeno ha accolto numerose parole tedesche soprattutto nel XIX secolo. Alcune
sono penetrate per via colta, altre per via orale. I termini di origine tedesca
riguardano in particolar modo la cultura materiale e si riferiscono al
commercio, ai mestieri, agli oggetti di casa. Questi denominano oggetti
e abiti (stofă “stoffa”, şorţ “grembiale”,
laibăr “corpetto” ştrinfi “calza”), cibi e
bevande (cartof “patata”, chiflă
“panino”, cremvurşti “wurstel”, halbă “boccale di
birra”, parizer “specie di salume”, şniţel
“cotoletta”, şuncă “prosciutto”), gradi militari e oggetti
riguardanti l’esercito (căprar “caporale”, iuncăr
“cadetto”, maior “maggiore”, ofiţer “ufficiale”,
canon “cannone”); alcuni si riferiscono al commercio (creiţar
“centesimo”, gheşeft “affaraccio”, sfanţ “denaro,
moneta”, taler “tallero”), o ad altre occupazioni (chelner
“cameriere”, maistar “capomastro”, şuştar “calzolaio”
ecc.). Un gran numero di elementi tedeschi è entrato nella terminologia dei
tipografi, dei pellai, della boschicultura e del trasporto fluviale del legno.
A partire dalla prima metà del XVIII
secolo, in Transilvania e, dopo l’allontanamento dei fanarioti, anche in
Muntenia e Moldavia, ebbe inizio un processo di rinnovamento della lingua
letteraria. Tale processo si realizzò tramite l’ingresso di prestiti dal latino
e dalle altre lingue romanze (soprattutto dal francese, ma anche dall’italiano),
fatto che avrà come conseguenza una vera “reromanizzazione” del romeno come
affermò Sextil Puşcariu, o secondo le definizioni di Al. Niculescu una
“relatinizzazione” o un’ ”occidentalizzazione romanza”. L’occidentalizzazione
romanza del lessico romeno si è effettuata in due tappe: la
prima tra il 1780 e il 1840, e la seconda, tra il 1840 e il 1900. Nella prima
tappa si sostituiscono i prestiti colti di origine slava, greca, turca e
ungherese, non tanto con neologismi latino-romanzi, ma soprattutto con calchi o
derivati formati attraverso i termini ereditati dal latino. La seconda tappa è
caratterizzata da un grande numero di prestiti latini, francesi e italiani.
Successivamente il rinnovamento e la modernizzazione del vocabolario romeno
avveranno anche attraverso prestiti da altre lingue: russo, tedesco e
soprattutto inglese. Ma, indifferentemente dalla lingua di provenienza, la
maggior parte delle parole recentemente entrate nel romeno è, come afferma Al.
Graur, di origine latina o, al massimo greca e poi passata al latino.
Accanto ai molti nuclei di prestiti menzionati, il
romeno possiede un gran numero di parole formate tramite derivazione e
composizione o tramite cambiamento di categoria grammaticale.
Un altro gruppo
è costituito da elementi lessicali senza etimologia, o con etimologia incerta o
poco chiara.
Secondo una
statistica elaborata da D. Macrea basata sul Dicţionarul limbii române
moderne (pubblicato nel 1958), le lingue che hanno formato il lessico romeno
sarebbero 76. Nel Dicţionarul limbii române din trecut şi de azi di
I. A. Candrea che costituisce la base della prima parte del Dicţionarul
enciclopedic ilustrat “Cartea Românească”, 1931, D. Macrea ne numera 55.
Logicamente non tutte queste 50 o 70 lingue hanno la stessa importanza nel
lessico romeno. Tra di esse, come abbiamo visto, si può formare un gruppo (con
elementi latini ereditati, autoctoni traco-dacici, prestiti slavi, turchi,
greci, ungheresi, tedeschi, latino-romanzi) che costituisce la maggioranza
assoluta del lessico della nostra lingua.
Sempre secondo la statistica di
Macrea, le voci latine ereditate o di origine colta più quelle romanze
rappresentano il 62,85% del vocabolario usuale della lingua romena
[274]
moderna. Osservate nel processo di
circolazione cioè in base alla frequenza, il numero di queste parole diventa
enorme: gli elementi ereditati dal latino giungono al 62,46%, quelli assunti
dallo slavo al 3,92%, quelli dal francese al 19%, quelli dall’italiano allo
0,47%, quelli dal latino colto al 4,52%. Quindi gli elementi latini ereditati
colti assieme a quelli italiani e francesi hanno una frequenza dell’85,13%.
La struttura etimologica della
lingua romena si spiega attraverso le condizioni storiche, geografiche e
culturali in cui si è sviluppato il popolo romeno. Il territorio abitato dai
romeni si trova da sempre ad un punto di incontro tra occidente e oriente, tra
la regione baltica e quella mediterranea. Da qui sono passati o si sono
stabiliti diversi popoli durante le loro migrazioni da est a ovest o da nord a
sud. Il romeno ha preso una serie di elementi lessicali dai popoli vicini, come
pure dalle popolazioni che si sono stabilite sul suo territorio, popolazioni
che, a volte, si sono romenizzate, o che continuano ancor oggi a conservare la
propria lingua. In ogni caso, gli influssi stranieri, anche se numerosi, non
hanno cambiato l’essenza romanza della lingua romena.
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