Rumeni dell'Istria

[Tratto da Archivio storico per Trieste, L'Istria e il Trentino, diretto da Marpurgo ed A. Zenatti, Volume secondo, Direzione Proprietaria Editrice (Roma, 1883), p. 95-96.]

A proposito dei pochi Rumeni dell'Istria, ci scrive un giovane filologo istriano:

«Sia lecito spezzare una lancia in loro favore, sebbene ci accorgiamo che a poco o a nulla approderanno le nostre parole.

Pochi altri popoli, ove si eccettuino i loro confratelli del basso Danubio, diedero, a nostro avviso almeno, come i Rumeni dell'Istria, prova più luminosa della tenacità con cui si conserva la lingua succhiata col latte materno. Questo pugno di gente seppe, per anni ed anni tener fronte alla marea irrompente della razza slava, la quale, come già si assimilò il villaggio di Mune, un dì tutto rumeno, finirà coll'ingoiarsi anche quest'ultimo rudere di gente valacca sul Carso. Certo, se, come osserva il Combi (Porta Orientale, a, III, 108), i loro sacerdoti avesserò posto cura di tenervi deste le memorie, ci sarebbero chiari non pochi avvenimenti di molta importanza che ci appariscono invece appena in ombra. Ma i sacerdoti rumeni (che pur ve n'ha di quelli a cui la lingua di questi pastori e carbonai è famigliare) anziché venir mandati in quelle ville, in cui potrebbero esercitare un'influenza benefica, vengono, per così dire» relegati in terre, nelle quali gli è molto se giungono ad adempiere la loro missione di preti; nei villaggi del Carso e della Valdarsa, dove pure si parla il rumeno, s'inviano, in quella vece, curati che o di rumeno non conoscono verbo, oppure detestano questa lingua. Eppure in certi luoghi, come a Zejane, il prete rumeno è invocato qual messia.

Debito di giustizia e null'altro motivo ci induce a narrare come nelle poche ore che avemmo, anni or sono, occasione di soffermarci nel detto villaggio di Zejane, gli abitanti di questa villa, uditoci balbettare la loro lingua, ci prendessero a dirittura per uno di loro, e ci fossero larghi della più sincera e cordiale ospitalità. Vi trovammo le donne, spaventevolmente magre, oltremodo fiere della loro origine e del loro idioma domestico.

Secondo la tradizione che là raccogliemmo, tanto questi rumeni, quanto quelli della Valdarsa sarebbero i discendenti di tre pastori, venuti dal basso Danubio. Questi tre, passando in cerca di pascoli d'alpe in alpe, sarebbero giunti prima nell'altipiano di Mune e di Zejane, e poscia si sarebbero spinti fino nella Valdarsa. Trovati quei luoghi adatti al loro scopo, due di essi avrebbero fatto ritorno alle case loro, per prender moglie; e al loro ritorno avrebbe fatto lo stesso il terzo (cfr. però quello che ne dice il Miklosich nel suo lavoro intitolato; Ueber die Wanderungen der Rumunen in den Daìmatinischen Alpen und den Karpaten, nelle Memorie dell'Accademia delle scienze di Vienna, classe fil.-stor, vol. XXX, p. 6; e l'articolo in proposito del prof. [note] A. Ive nella Romania, IX, 320-328). Narrataci questa loro odissea, ci menarono a vedere la loro chiesa, piccola ma pur pulita e bene conservata: additatoci l'altare maggiore, privo di qualsiasi pregio artistico, ci esaltarono con compiacenza infantile questo loro palladio; ripetendo non senza grave rammarico queste parole, che vogliamo qui riprodurre testualmente anche a saggio di quella lingua, del resto ben nota; Busériika rem, ma prévtu vi drem (abbiamo la chiesa, ma non abbiamo il prete). Nostra, bùra limba (la nostra è buona lingua). E finivano tutti i loro discorsi cosi: Si n'drem prévtu, tots perdùtsi ómiri smo (se non abbiamo il prete, siamo tutti uomini perduti). Che ciò non avvenga, vegga e provvegga chi deve».

Editor's note:

Compare this account with the 2010 version presented by Pepo G. in Mihai Burlacu's paper Istro-Romanians: The Legacy of a Culture.


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Created: Tuesday, December 13, 2011. Last updated: Tuesday, March 01, 2022
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